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E, mentre scorrono le pagine, appaiono personaggi e figure che hanno una dimensione mitica o che la raggiungono grazie alla narrazione di Max: tori assassini o indultati che si chiamavano Jocinero, Perdigon, Receptor, Cochero, Bailador, Islero, Civilon.

E figure di espadas che hanno creato l’arte del toreo negli ultimi due secoli: Martincho, Tragabuches, Pepe Hillo, Lagartijo, Costillares, Cara Hancha, Espartero, Joselito e El Gallo, Mazzantini fino a Belmonte Manolete e El Cordobes. Ma anche toreri falliti o maletillas che si facevano uccidere da tori che “sapevano il latino” non per i pochi denari pattuiti ma per la passione che li divorava.

Un corale affresco della Spagna, una galleria variopinta di uomini e tori, una analisi sottile del legame intimo tra l’arte del toreo e quella terra e quegli uomini, tutto ciò racchiuso in poco più di trecento pagine.

Vamos a ver.

Morte nel pomeriggio, in seguito riletto e giudicato, è ora invece considerato senza alcun dubbio il libro in cui Hemingway, con estrema chiarezza e libertà, esprime la sua concezione diletteratura e spiega il perché consideri l'atto dell'uccidere (o meglio un certo modo di uccidere) una forma di immortalità, capace di riscattare chi lo compie dalle eventuali brutture della sua personale condizione umana, rendendolo come il sacerdote di un rito, l'intermediario tra l'uomo comune e la natura: una tematica che verrà sviluppata anche in altre opere di Hemngway, quali Il vecchio e il mare. Nel corso del libro Hemingway offre una rappresentazione della realtà cruda quanto realistica, debitrice per sua stessa ammissione delle espressioni pittoriche di artisti come Velázquez, El Greco e Goya. Nelle sue descrizioni, soprattutto in quelle più forti, l'autore è capace di esprimere un intenso lirismo, dimostrando tutto il suo attaccamento per una realtà visceralmente percepita, agli antipodi rispetto alla società anglosassone, moderna, artificiale e popolata di benpensanti (che trovano nel personaggio della Vecchia Signora del libro un ideale rappresentante).

Il libro si sofferma in particolare sul 1959, l’estate nella quale ebbe particolarmente rilievo, e successo, lo scontro, prima a distanza, e quindi anche sull’arena fra lo stesso Antonio Ordoñez e quello che fino a quel momento era considerato il più grande matador del mondo. Luis Miguel Dominguin.

Nella descrizione degli incontri diretti fra i due, Hemingway si diffonde soprattutto a quelli di Valencia e di Malaga. Quella di Valencia fu una corrida con tre matador e due tori cadauno: Antonio Ordoñez, Luis Miguel Dominguin e Gregorio Sanchez. Quella di Malaga fu un mano a mano diretto fra i due toreri, con tre tori a testa.

L’uso della capa, la faena con la muleta, l’intervento dei picadores, gli ordini del matador, e soprattutto la sua capacità di dominare il toro sono gli aspetti che più richiamano l’attenzione dello scrittore. E in questi momenti, l’esaltazione è tutta per Antonio Ordoñez, per la sua capacità di trasformare un toro timido, o vigliacco, o perplesso, in un toro combattivo, in grado di caricare in linea retta e permettere al matador di compiere i passi più difficili e pericolosi, e finire poi con una estocada perfetta.

L’età classica della corrida finì un giorno del 1914 dal barbiere. Un giovanotto dalla bazza pronunciata entrò in un famoso salone della madrilena calle Sevilla e sistemandosi sulla poltrona ordinò: “Barba e capelli. Ma prima mi tagli il codino”. Era un matador di 22 anni in rapinosa ascesa. Voleva solo cortarse la coleta, anacronistico cascame settecentesco, prolungando sin nel look la rivoluzione modernista che aveva appena avviato nelle plazas de toros. Di lì in poi la storia della tauromachia si sarebbe divisa in un prima e un dopo Belmonte.[...] . È in una tertulía, un simposio da caffè, che l’illustre giornalista Chaves Nogales lo incontra per la prima volta negli anni Trenta. Un coup de foudre. A forza di chiacchierare, Chaves decide di raccogliere le memorie di Belmonte in una serie di conversazioni che, rielaborate letterariamente, usciranno a puntate sulla rivista Estampa tra giugno e dicembre 1935. In seguito verranno riunite nel volume Juan Belmonte, matador de toros.

“Il toro non sbaglia mai” è una citazione da Juan Vicente Piqueras e poche volte un titolo è stato così azzeccato nel descrivere il contenuto di un libro insolito, originale, del tutto diverso dall’attuale scenario della narrativa italiana. 
Questo libro non è narrativa pura, ma contiene una contaminazione di generi difficile da individuare: libro di viaggio, saggio comparativo fra il mondo della corrida e i miti dell’antichità greca, analisi antropologica della tipologia dei personaggi che compaiono nel lungo tempo della narrazione, excursus letterario lungo il percorso di autori che hanno avuto nella Spagna delle corride e dei toreri un loro centro ideale, da Dumas ad Hemingway, da Lord Byron a Merimée e Gautier fino a Federico Garcia Lorca.

L’uomo che racconta questa storia e un gaudente e geniale panettiere del Monferrato, soprannominato El Pana, grande patito di corride e della vita vissuta senza sconti, decidono di suggellare la loro passione per la tauromachia con un viaggio in Andalusia. Appena giunti nella patria del toro bravo, l’incontro casuale con una figura dal nome enigmatico e premonitore – Mai – sconvolge i loro piani, in una notte che sembra destinata a non avere fine.  

En las páginas de este sorprendente libro, verdadero esfuerzo individual, lingüístico y enciclopédico, Javier Villán presenta, con la estructura de un diccionario pero desde una visión personalísima en la línea de sus crónicas taurinas, su idea de la Fiesta y las experiencias de veintidós años de cronista y medio siglo de aficionado.

En estas páginas están «los libros de toros que he leído, las gentes a las que he  escuchado y también a las que no hice caso, los sucesos que he contemplado y referido en libros y en El Mundo. En resumen, la Fiesta que he vivido y la que me han contado, y puede que también la que he soñado y seguiré soñando».

Lenguaje, liturgias y torerosque, de la A a la Z, dan rigurosa cuenta de una educación taurina sentimental y política.

“Ante la ola prohibicionista en torno al mundo taurino, Francis Wolff maneja en este libro argumentos paradójicamente en línea con los que suponen que hacen un bien suprimiendo las corridas de toros. Después de bastantes años, se ha desatado una campaña contra las corridas y por su prohibición. Wolff no ataca los motivos deesta movilización prohibicionista y cree que su fundamento es generoso, pero alega que este mismo movimiento no tiene en cuenta los riesgos ni contradicciones que pregona la «pretendida liberación animal» frente a la cultura humanista, entre otros, los perniciosos efectos ecológicos de la prohibición. Además le achaca un profundo desconocimiento de los valores y de todo aquello que surge de la tauromaquia. Si sólo fuera por el magnífico espectáculo de las corridas, no habría tantas excusas para evitar su supresión. Según Wolff, hay que defender este espectáculo porque es bueno moralmente, y para entenderlo nos ofrece sus 50 razones”

El arte de la Tauromaquia impresiona vivamente los sentidos; no basta con contemplarlo fríamente, hay que vivirlo. La Tauromaquia se vive desde la pasión que inunda el corazón y arrebata el entendimiento. Se puede, se debe en tantos casos, analizar lo contemplado, lo vivido, pero cuando surge esa arrebatadora llama en el movimiento fugaz de un capote, de una muleta, en la llamarada de un engaño bermejo que araña el viento para crear una sublime pasión, cuando lo vemos en las puntas aceradas de los pitones de una res, como si de fuego de San Telmo se tratara, buscando hacer presa en el aire, rayo doloroso, violento, natural, prende en nuestro interior un hogar de cálidas sensaciones, de ardientes vivencias, de tauromaquias vividas. La tauromaquia se vive, se siente, nos hace recrearnos en la vida, en la natural superioridad humana sobre la naturaleza. Cuando surge ese efímero, y a la par imperecedero, arte, nos sentimos más humanos porque somos capaces de creer en el hombre, en su capacidad creativa, porque nos emociona como casi ningún otro. 

La prefazione del Catalogo sulle tavole di Goya sulla Tauromaquia è del Prof. Roberto Del Miglio ed è tratta dal suo libro (ormai introvabile) "Storia della Tauromachia - Dalle origini alle odirne corride" (Laser Ed., 2000): vengono riproposte in forma abbreviata tutte le forme di tauromachia che furono praticate dalle origini alla fine dell'Ottocento.

 The history of the rise of the Spanish matador Manuel Benítez, known as "El Cordobés." The book's subtitle, "The Story of El Cordobés and the New Spain He Stands For," points, however, to the authors' larger purpose.  The book is written in 1966, shortly after El Cordobés' rise to fame as a matador and during a time of significant change in Spain, as the Spanish dictator Francisco Franco was reluctantly opening up his country to the outside world.

Con este libro sobre Juan Belmonte, Chaves Nogales dio una lección de literatura y una lección de periodismo: el periodismo que logra ascender al ámbito de la gran literatura. Porque no estamos ante un libro curioso, sino ante un libro prodigioso. Un libro que parte de unas anécdotas jugosas por sí mismas, desde luego, pero no olvidemos que el mérito literario de una anécdota no depende de la anécdota en sí, sino de cómo se cuente. Y Chaves Nogales supo contarnos con pulso magistral la vida y hazañas de Juan Belmonte, El Pasmo de Triana, aquel niño pobre que toreaba clandestinamente en pleno campo, desnudo, a la luz de la luna y de unos focos de acetileno que robó con su pandilla a un circo húngaro que estaba de paso por Sevilla. Aquel niño pobre que se convirtió en un torero glorioso y rico. Aquel torero glorioso y rico que acabó pegándose un tiro, porque quién sabe lo que pasa por dentro de nadie cuando decide ser nadie.

La traduzione di Gado Lyria con testo originale a fronte.

Roberto Del Miglio

 

Nel sole e nell'ombra

 è un libro che vale la pena di rileggere anche a cento e passa anni dalla sua pubblicazione. E ciò per un motivo molto semplice e magari brutale. Dopo la sua pubblicazione, nel nostro paese non ci fu un cane che sulla Spagna scrivesse qualcosa di meglio, e di altrettanto leggibile, di questo reportage alla buona. Fu l'unico libro di argomento spagnolo che gli italiani leggessero correntemente per un buon mezzo secolo.

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